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17. 05. 2010| Eventi e convegni

Contatti linguistici tra Cina e Giappone: la formazione dei lessici moderni

La lunga e complessa storia dei rapporti tra Cina e Giappone illustrata dall’evoluzione del lessico in un seminario del Prof. Paolo Calvetti.

Napoli, 14 maggio 2010 – Si può guardare alla storia delle relazioni internazionali anche attraverso il mutamento linguistico: questo fenomeno, vivo e strettamente correlato alle condizioni socio-culturali, si offre, infatti, come efficace cartina tornasole delle dinamiche dei contatti tra i popoli. In questa prospettiva s’inserisce il seminario odierno del Dottorato di Ricerca in Asia Orientale e Meridionale tenuto dal Prof. Paolo Calvetti, docente ordinario di Lingua e Linguistica Giapponese prima presso quest’Ateneo ora a Venezia Ca’ Foscari, sull’evoluzione degli scambi lessicali tra Cina e Giappone.
   Con un paragone non troppo azzardato, si può dire che la Cina sia stata per la storia del pensiero dell’Asia Orientale quella che fu la Grecia Antica per il mondo occidentale: gran parte del sapere e delle istituzioni socio-culturali del Continente affondano, infatti, le radici nell’antico Paese di Mezzo.  Nel caso del Giappone, l’impatto della cultura cinese è stato duplice: insieme alle dottrine filosofiche e religiose, il Paese importa anche il sistema di scrittura e si arricchisce di un vasto repertorio di lessicale che, a sua volta, fornisce il modello per la creazione di nuove parole giapponesi a ispirazione delle combinazioni cinesi di caratteri.
   Uno “shock culturale” segue i primi contatti con l’Occidente nell’Ottocento, quando i due Paesi si trovano di fronte a valori e categorie di pensiero nuove in Asia Orientale come “libertà”, “democrazia”, “diritto” ma anche “parlamento” o “presidente” e che esigono una traduzione adeguata.
  La Cina anticipa il Giappone e, verso la metà del XIX secolo, avvia centri di traduzione e diffusione dei saperi occidentali a Pechino (Tongwenguan) e Shanghai (Arsenale) dove nativi cinesi collaborano con i missionari protestanti alla compilazione dei primi dizionari inglese - cinese. In queste opere, i concetti del pensiero occidentale e le loro sfaccettature sono declinate attraverso inediti composti: ad esempio “libertà” viene considerata in termini “autodeterminazione”, “dominio di se stessi” o “assenza di vincoli”.  A sua volta il Giappone introduce presto nel suo lessico queste nuove parole e inizia una produzione e diffusione autonoma di traduzioni.
   La direzione degli scambi lessicali s’inverte dopo il primo conflitto sino-giapponese (1894-1895) quando la classe dominante giapponese s’interessa alla produzione saggistica e alla traduzione delle opere occidentali, che si affranca totalmente dal tramite cinese.
  In questo modo in Cina, dove è più semplice leggere le traduzioni in giapponese che non in altre lingue, arrivano progressivamente numerose nuove parole create in Giappone, soprattutto in ambito tecnico-scientifico, e parallelamente si procede a un’estensione semantica di alcuni termini già esistenti.
 Sul versante della lingua giapponese non mancano poi casi di prestiti di ritorno (sekai “mondo”, daigaku “università”), dove termini anticamente giapponesi sono reintrodotti come prestiti dal cinese, oppure si assiste a specializzazioni semantiche del lessico, come con kousha, letteralmente “fabbrica pubblica”, poi divenuta in giapponese sinonimo di “ditta cinese” per associazione con il sistema politico di questo Paese.
   Previsioni attendibili sull’evoluzione dei contatti e scambi linguistici tra questi due Paesi non è possibile farne, certo è che, con la crescente importanza economica della Cina, in futuro le dinamiche del lessico cinese e giapponese continueranno a essere di grande interesse per gli studiosi del settore. 

Autore: Fabiana Andreani

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