Il 19 dicembre 2008 l’Università degli Studi “L’Orientale” di Napoli ha conferito una Laurea Honoris Causa in “Filosofia, Politica, Comunicazione” al Prof. Jean Starobinski.
Dal discorso di apertura del Rettore, prof. Lida Viganoni
(…) Il prof. Starobinski ha il merito indiscusso di rappresentare un punto di riferimento fondamentale per la cultura del Novecento, specialmente per il contributo da lui offerto nel campo della ricerca e degli studi sull’Illuminismo e in quelli della teoria della letteratura.
Uno studioso che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca e alla didattica, esempio per tanti giovani che intraprendono il lungo percorso della vita accademica. Starobinski incarna i valori che vanno difesi e sostenuti nell’Università, come luogo di produzione del sapere e della conoscenza, luogo deputato a formare, prima ancora che le future generazioni di professionisti, quelle di uomini di cultura, liberi e responsabili, di cui ogni Paese ha assoluto bisogno.
Come pure vorrei ricordare che i libri di Starobinski, tradotti in moltissime lingue, sono fondamentali per la critica contemporanea e hanno arricchito di nuovi punti di vista il panorama critico letterario. Alcuni suoi saggi sono ormai considerati dei classici.
Sensibile, per sua stessa formazione, alle suggestioni del metodo psicoanalitico, ma duttile e sorvegliato; aperto anche a una sociologia intesa a cogliere la diffusa presenza di miti, simboli, archetipi, storico delle idee, critico storico della letteratura Starobinski attua una operazione critica che non si irrigidisce in una metodologia dogmatica ma lascia sempre spazio a nuovi scandagli ed a diversi sistemi di indagine. (…)
In anni recenti vede la luce Le incantatrici (Paris, 2005). Ciò che più colpisce in questo libro - se si pensa che oggi sono quotidiani i riferimenti alla secolarizzazione, alla scristianizzazione, alla nietzschiana morte di Dio, al disincanto del mondo - è il problema che tutto lo attraversa, e cioè l’interrogativo: il secolo romantico ha voluto ritrovare una visione religiosa del mondo che i Lumi avevano cercato di soppiantare? Ecco i temi della sacralizzazione dell'arte che si compone e s’intreccia con quello della estetizzazione del religioso, fenomeno complesso che non smette di manifestarsi sotto i nostri occhi, anche e soprattutto nel XX secolo e nei nostri anni. È un libro, sono temi che interessano da vicino l'evoluzione delle società moderne cosiddette "avanzate".
Del suo insegnamento e del suo profondo e poliedrico magistero l’Orientale le è, caro prof. Starobinski, profondamente grata ed è con questo spirito che ha inteso renderle testimonianza attraverso il conferimento della laurea honoris causa in “Filosofia, politica, comunicazione”. E io sono, creda, molto lieta che il Suo nome, la Sua figura, restino legati, per sempre, al nostro Ateneo.
Dal saluto del Preside, prof. Amneris Roselli
È con grande piacere che oggi Le porgo il saluto della Facoltà di Lettere e Filosofia nell'occasione di questa solenne cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa in “Filosofia, Politica, Comunicazione”.
Quando, nell'estate dello scorso anno, per la prima volta il Prof. Postigliola mi parlò dell'intenzione dei colleghi del Corso di laurea in Filosofia di proporre alla Facoltà e poi al Senato Accademico di conferirLe la Laurea Honoris Causa, accolsi la proposta con entusiasmo e certa che la Facoltà nel suo insieme con altrettanto entusiasmo l'avrebbe condivisa. Il Prof. Postigliola mi parlò in quell'occasione degli antichi rapporti che La legano al nostro Ateneo, e in particolare al settore degli studi di filosofia, fin dal 1978, anno della fondazione della sezione di Studi filosofici degli Annali dell'Orientale e mi parve giusto e bello rinnovare, trent'anni dopo, questo legame di amicizia e di ospitalità. (…) Pochi mesi dopo, nell'autunno, esprimendo la massima soddisfazione, la Facoltà ha accolto unanime la proposta del Corso di Laurea in Filosofia, e oggi siamo lieti di poterLe conferire la Laurea honoris Causa. (…)
Commentando l'Anatomy of Melancholy di Robert Burton, Lei ha scritto belle pagine sullo sguardo di Democrito. Il Democrito dell'Epistola di Ippocrate a Damageto è un Democrito che guarda lontano, che guarda a fondo, che vuole scoprire la ragione delle cose; è un sapiente che, sperimenta la difficoltà di comunicare direttamente con gli Abderiti, i suoi concittadini, riesce poi a farsi comprendere da loro attraverso la mediazione di Ippocrate, un altro sapiente, altrettanto esercitato nell'arte dello sguardo, in questo caso lo sguardo diagnostico. Voglio leggere la scena del dialogo sereno tra i due sapienti, mentre sulle alture tutt'intorno il popolo rumoreggia e assume atteggiamenti scomposti, come una metafora del nostro mondo presente. Vorrei che anche noi riuscissimo ad esercitare lo stesso sguardo di Democrito e di Ippocrate, lucido e profondo, e che questo esercizio ci servisse a far fronte ai mali del presente; mi auguro che possiamo tenere vivo il dialogo tra le culture. Mi piace concludere questo indirizzo di saluto con le parole con le quali Ippocrate chiude la sua lettera: «ho visto Democrito, il più sapiente di tutti, il solo veramente in grado di rendere saggi gli uomini; questo ho da dirti, Damageto su Democrito. Eccellenti notizie/una grande gioia. Stai bene!»
Dalla Laudatio del prof. Alberto Postigliola
All’inizio degli anni quaranta Starobinski, poco più che ventenne, s’era affacciato agli studi nel contesto di un’Europa afflitta dai totalitarismi e da una guerra che da subito si annunciava catastrofica. Non aveva quindi mancato di porsi il problema dell’affermazione devastante del mito, fondamento del consenso totalitario, che dà l’illusione di riempire il vuoto della inautenticità della maschera che affligge l’umanità occidentale pervenuta alla sua fase ultima di crisi (1). Rousseau sembra dare in effetti, pur nella sua inafferrabilità, una qualche diagnosi, una prima risposta, risultata a lui stesso insoddisfacente, e poi di nuovo una tormentata ricerca sul sé e sull’identità dell’uomo, anch’egli operando su se stesso come in un laboratorio. Jean-Jacques Rousseau. La transparence et l’obstacle è opera troppo conosciuta perché valga la pena soffermarcisi a lungo: su di essa si sono formati generazioni di studenti di letteratura, di filosofia e anche di pensiero politico. Rousseau, ricorda Starobinski, muove attraverso i due ‘discorsi’ la critica alla società del tempo, che è la società del moderno. Una società iniqua, frutto dell’esigenza di sormontare le circostanze naturali, e poi, appunto, sociali. La stessa riflessione è frutto avvelenato della catena perpetua che porta a riconoscere problemi e ostacoli e a doverli superare. Val la pena richiamare almeno un passo del Discours sur l’inégalité, ove si dice che le cose sono arrivate a una fase tale in cui certe qualità “il fallut bientôt les avoir ou les affecter; il fallut pour son avantage se montrer autre que ce qu’on était en effet: Etre et paraître devinrent deux choses tout à fait différentes, et de cette distinction sortirent le faste imposant, la ruse trompeuse, et tous les vices qui en sont le cortège” (2). Sino all’estrema disuguaglianza tra gli uomini e al paventato dispotismo. Di qui il contratto sociale, la nuova società, la società giusta. Non si può più tornare alla natura, dopo che si è proceduto così oltre nella strada dell’artificio. Come ritrovare l’interezza? Portando l’artificio alle estreme conseguenze: “efforçons nous de tirer du mal même le remède” che deve guarirci: cerchiamo “dans l’art perfectionné la réparation des maux que l’art commencé fit à la nature” (3). Il remède dans le mal tuttavia non funziona. Questa sorta di omeopatia non può aver effetto. Di qui il richiudersi di Rousseau, la sua accettazione dell’ostacolo, come scrive Starobinski: “Rousseau désire la communication et la transparence des cœurs; mais il est frustré dans son attente, et, choisissant la voie contraire, il accepte, et suscite, l’obstacle, qui lui permet de se replier dans la résignation passive et dans la certitude de son innocence” (4).
E veniamo al Montaigne en mouvement, concepito fin dal suo primo abbozzo, dice Starobinski, per fare da pendant al Rousseau. “Ces études parallèles – egli scrive – reçoivent leur sens de la similitude de l’acte initial dont elles partent – la contestation du maléfice de l’apparence – tandis que leur point d’aboutissement respectif diffère de façon significative: faute de pouvoir réjoindre l’être, Montaigne reconnaît la légitimité de l’apparence; en revanche Rousseau, irréconcilié, voit s’accumuler autour de lui l’ombre hostile, afin de ne pas perdre la conviction qu’en son propre cœur la transparence a trouvé un dernier asile” (5). I sette capitoli del libro sono tutti variazioni sul tema del ritorno consapevole alle apparenze o agli artifici in primo momento rifiutati, e sono dedicati all’amicizia, alla morte, alla libertà, al corpo, all’amore, al linguaggio, alla vita pubblica. Ma Montaigne è anche l’occasione per qualche escursione in momenti diversi della modernità, con lampi improvvisi che suggeriscono percorsi all’interno del moderno inteso come un unico, problematico intero: basti qui il cenno a un brano fra tanti, in cui si tratta della notazione di Montaigne sull’aggravarsi della malinconia prodotta allo studioso dalla ricerca affannosa delle cause stesse della follia, ripreso poi da Robert Burton nella Anatomy of Melancholy (1621). Un passo, rileva ancora Starobinski, riportato anche dall’Amleto shakespeariano, a sua volta ripreso in Treuer und Melancholie da Siegmund Freud (6).
Incursioni dunque, quelle di Starobinski, in una modernità intesa come un intero, da parte di un intellettuale perennemente ‘in movimento’ come il suo Montagne (7). Un moderno, come si diceva all’inizio, che assomma con pari intensità e profondità conoscenze tra loro scientificamente le più svariate, in una maniera quale parrebbe possibile solo all’epoca di un Leonardo, o anche a quella di un Montesquieu, autore di memorie accademiche di fisica e scienze naturali, commentatore di un trattato di algebra, progettatore, mentre compone l’Esprit des lois,di una ‘storia fisica della terra’; come pure di un Rousseau, appunto, botanico, chimico, musicologo, teorico del linguaggio. Competenze poi, in sostanza, anche quelle di Starobinski, distintamente appropriate e valide e tra loro interdipendenti nella sua personalità intellettuale.
Questo elogio che si sta pronunciando, questa laudatio, non è tuttavia qualcosa di adeguato. Il nostro offrire la laurea honoris causa in ‘Filosofia, politica, comunicazione’ a Jean Starobinski nulla aggiunge, in qualche modo, a chi ha già avuto una ventina di riconoscimenti di tal tipo: e tuttavia rappresenta, se si vuole, un sintomo e una testimonianza. E’ il segno che noi ci riconosciamo nel lavoro di una vita che egli ha svolto, che il suo itinerario, il suo ‘movimento’, il suo continuo ritornare su temi e su autori cruciali della nostra modernità, è in qualche modo il ‘nostro movimento’, la nostra continua ricerca di una identità sempre sospesa tra essere e sembrare, tra natura e artificio, tra autenticità e inautenticità, tra appropriazione di sé e alienazione, e che può esser abbordata da tutti i punti di vista in cui Starobinski ha operato (come critico, medico, psichiatra, ecc.). Egli incarna in qualche modo, insieme, le radici e il presente della modernità, la sua essenza, dalle origini rinascimentali sino a oggi, sino all’ancor inesistente post-modernità. Ci ricorda appunto che la nostra è ancora la condizione moderna, che questa condizione è problematica, e che comunque, nelle sue grandezze come nelle sue miserie (sia tragiche sia goffe), è interamente nelle nostre mani. E che non abbiamo scuse: la responsabilità è enorme ed è interamente nostra, e senza prove d’appello.
Questo ci insegna e ci ricorda Jean Starobinski, e questo ci rende fieri e onorati di offrirgli tale ulteriore riconoscimento, la cui prima proposta, pure, è venuta da un corso di laurea filosofico la cui sopravvivenza è oggi resa problematica dall’attuale legislazione e da varie circostanze.
E siamo tra l’altro grati di questo suo ulteriore ritorno all’Orientale, la cui frequentazione è iniziata, come è stato ricordato, trenta anni fa, nel 1978, con la sua partecipazione, con un memorabile contributo, al primo fascicolo dei nostri Annali di Studi filosofici, dedicato al bicentenario russoiano (8).
1) J. S., “Interrogatoire du masque”, in Suisse contemporaine, n° 4, avril 1946, pp. 373-374.
2) Œuvres complètes de J.-J. Rousseau, publiées sous la direction de B. Gagnebin et M. Raymond, 5 voll., Paris Gallimard ‘Pléiade’, III, p. 174.
3) Cfr. il Manoscritto di Ginevra del Contrat social, I, 2, in Œuvres cit., III, p. 288.
4) J. S., Jean-Jacques Rousseau. La transparence et l’obstable, Paris, Gallimard, 1971, p. 10.
5) J. S., Montaigne en mouvement. Edition revue et complétée, Paris, Gallimard, 1993, pp. 10-11.
7) Starobinski en mouvement era già il titolo di una folta miscellanea curata da B. Gagnebin e C. Savinel (Paris, Ed. Champ Vallon, 2001).
8) J. S., “Espace du jour, espace du bonheur (Remarques sur la Troisième lettre à Malesherbes de Jean-Jacques Rousseau)”, in Studi su Jean-Jacques Rousseau, fasc. monotematico di Studi filosofici, a cura di A. Postigliola, I (1978), pp. 7-18.
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