Ci parli dello scavo in corso a Cuma. Che cosa avete trovato?
I rinvenimenti sono relativi a tutte le fasi della vita della città. Per quanto riguarda la fase greca, ossia quella del momento di impianto della colonia, ha avuto grande importanza il rinvenimento di parte di un’abitazione datata nella seconda metà del VIII sec. a. C. Di questa abitazione si conservava un focolare che ha restituito ceramica del periodo geometrico; questo significa che si tratta di una delle abitazioni relative ad uno dei primi coloni della Cuma di epoca greca. Lo scavo ha anche restituito, per quanto concerne la fase greca, ceramica molto fine per il simposio, cioè per il consumo del vino, e in particolare sono state trovate due coppe: una a figure nere e una a figure rosse di produzione attica, opere di pittori ateniesi molto importanti. Una di queste coppe rappresenta un polipo raffigurato nel medaglione all’interno della coppa stessa, quindi si crea una sorta di gioco del simposio con il vino che rappresenta il mare e il polipo che nuota all’interno del mare e chi beve è come se si tuffasse all’interno della coppa, quindi nel mare. Un’altra coppa invece rappresenta un efebo cacciatore. Sono produzioni di qualità molto alta. Inoltre di recente è stato trovato proprio negli scavi il frammento di una coppa con iscrizione attica che recita o'pais kalos, ossia il fanciullo bello, ed è un’acclamazione legata all'amore per i fanciulli, quello pederastico per l'appunto.
Per quanto riguarda le fasi di epoca romana, abbiamo messo in luce le strade con pavimentazione basolata sulle quali affacciano le abitazioni. Queste ultime dobbiamo immaginarle come le abitazioni dei proprietari più ricchi di Cuma, perché questo è stato sin dall’inizio un quartiere centrale della città. Di una di queste è stato messo in luce un peristilio di dimensioni considerevoli, paragonabile a quelli più grandi delle case pompeiane, che è un ambiente colonnato nel quale passeggiavano i proprietari e gli ospiti della casa. Di un’altra abitazione abbiamo invece messo in luce l’ingresso e l’atrio e abbiamo inoltre trovato i sigilli dei proprietari delle case che portano il nome dei proprietari stessi.
Quando si scava in abitato si tocca con mano la vita comune, i reperti frammentari rinvenuti testimoniano soprattutto la cultura materiale, la quotidianità della vita di questo quartiere. E’la prima volta che riusciamo a leggere e riconoscere la vita quotidiana di tutta la storia della città, dalla fase della fondazione greca nel VIII sec. a.C. fino all’abbandono della città nella prima metà del VI sec. d. C. in seguito alle invasioni barbariche.
Gli oggetti trovati dove vengono situati? Qual è la loro collocazione dopo lo scavo?
Gli oggetti sono in parte già stati esposti nel museo dei Campi Flegrei presso il Castello di Baia, altri sono invece conservati all’interno dei nostri magazzini e sono oggetto di studio e di pubblicazione.
Quali sono i limiti di estensione degli scavi?
Il nostro scavo è in concessione dal Ministero e noi in realtà abbiamo l’obiettivo preciso di scavare col tempo un’insula romana, compresa all’interno di un percorso stradale, con lo sviluppo per intero delle domus romane presenti all’interno dell'insula stessa. Le domus presentano uno sviluppo in estensione notevole, quindi ci vorrà diverso tempo, però il nostro obiettivo è quello di scavare l’area che va dalle Terme del Foro a sud alle mura settentrionali già scavate dal mio maestro Bruno D’Agostino.
Si vuole quindi fornire una lettura nuova della città di Cuma, perché precedentemente si conoscevano solo i santuari, le necropoli, le mura e l’area pubblica, noi invece vogliamo offrire una dimensione reale e quotidiana della città.
Lo scavo in abitato è inoltre lo scavo più difficile dal punto di vista stratigrafico, perché le abitazioni sono soggette a meccanismi di trasformazione continua con l’aggiunta o cancellazione di ambienti o annessione degli stessi in una certa fase. Questo è un palinsesto di abitazioni di 800 anni, quindi si pensi a tutte le trasformazioni di questo periodo. La nostra è un’operazione di smontaggio a ritroso di tutte le trasformazioni che hanno caratterizzato la zona, tutto questo in quattro metri di interro. Questo lo si fa insieme, perché lo scavo non è mai come un libro che si scrive da sé, ma è un’operazione collettiva e la qualità del lavoro è il frutto di una partecipazione corale, sia degli studenti che dei bravissimi collaboratori che mi affiancano.
Ci sono molti studenti che partecipano ai lavori. Ci parli della loro attività.
Sì, questo scavo vanta la piena partecipazione degli studenti a tutte le fasi del lavoro.
Essi imparano scavando a riconoscere le stratigrafie e le sequenze murarie, apprendono come documentare registrando le evidenze, come disegnare i reperti e infine come classificare gli stessi in magazzino. Si tratta di una formazione completa del lavoro sul campo, anche perché per un archeologo vero l’unico modo di apprendere le tecniche è quello di impararle sul campo. Il cantiere è gestito da responsabili che fanno da referenti per i vari studenti e spiegano loro tutte le tecniche di lavoro.
Come valuta dunque la partecipazione degli studenti?
Molto positiva. Sono molto attento al lavoro che prestano i ragazzi. Adesso siamo alla fine del quarto anno, in genere non mi allontano mai dallo scavo, sono stato assente solo per tre giorni e al mio ritorno ho trovato tutto che funzionava perfettamente. Oramai è un meccanismo che procede in maniera quasi autonoma e ne sono orgoglioso. Tutto ciò che vedete, ad eccezione di un piccolo saggio condotto nel 2001, ce lo siamo scavati a mano.
Come è il vostro rapporto con la sovrintendenza?
Il rapporto con l’Ufficio Scavi di Cuma è molto favorevole e positivo. Un domani ci piacerebbe inserire quest’area all’interno del percorso di visita del parco archeologico della città, per cui il visitatore potrà percorrere le strade di questo quartiere e visitarne le abitazioni di epoca greca e romana. Lavorare a Cuma è anche un’operazione politica e culturale particolarmente importante, perché a fronte di un contesto di straordinaria importanza storica e di grande bellezza dal punto di vista ambientale quest’area è stata sempre un po’ bistrattata per la presenza di infiltrazioni criminali, per cui a partire dal 1993 è stato concepito questo progetto, finanziato originariamente con fondi europei, che tende all'allargamento dell’area del parco archeologico e alla tutela e valorizzazione di questo sito straordinario.
Come inizia uno scavo?
Lo scavo inizia da una conoscenza globale della città. Si sa già in generale dove andare ad indagare. Noi sapevamo che in quest’area eravamo esattamente nel cuore dell’abitato greco e romano ed il nostro scopo era proprio quello di conoscere per la prima volta le abitazioni di quell’epoca. Ovviamente non ci aspettavamo di recuperare proprio quei lembi del momento della fondazione della colonia nel 750 a.C. e questa è stata quindi una grande sorpresa.
Da chi è finanziato lo scavo?
Lo scavo è finanziato dall’Orientale, ma non solo. Dobbiamo ringraziare anche diversi sponsor privati, tra cui il Banco di Napoli e la compagnia di navigazione T.T.T. Lines. Questo in realtà dà l’idea di quello che sarà il futuro della ricerca delle risorse, ossia la partecipazione dei privati a quello che è un progetto di politica culturale del territorio.
Abbiamo dunque parlato della sua attività presso gli scavi di Cuma, ma ci parli anche un po' di quelle che sono state le sue esperienze. Come ha iniziato?
Ho avuto la fortuna di formarmi all’Orientale in una scuola di archeologi molto importante, allievo dei professori Ida Baldassarre e Bruno D’Agostino; in particolare ho il piacere e l'onore di continuare il lavoro di quest'ultimo qui a Cuma negli scavi delle mura settentrionali. La mia è sempre stata un’esperienza che ha unito studio e attività sul campo, perché il bello e lo scopo dell’archeologia è proprio quello di unire questi due aspetti, quello dello studio in biblioteca e quello del lavoro in cantiere. Ho avuto un’ampia formazione anche grazie ai miei viaggi, perché sono stato allievo della scuola archeologica italiana di Atene e ho lavorato molto a Creta, nelle isole Cicladi e a Cefalonia, ma anche in Libia, a Cirene, ed è un po’ curioso che io, che nella mia formazione ho lavorato soprattutto in Grecia, da tre anni a questa parte abbia trovato la mia Grecia a due passi da casa e università.
Noi che scaviamo le abitazioni cumane tocchiamo spesso con mano gli utensili, entriamo negli ambienti, nelle case, quindi abbiamo una dimensione dell’archeologia che è reale, per cui le basi che danno i libri sono limitate e devono essere accompagnate dall’esperienza del viaggio e del lavoro sul campo, perché è fondamentale avere costantemente l’occhio rivolto all’ambiente e al contesto. Questo l’ho imparato viaggiando, guardando siti archeologici, conoscendo dal vivo i diversi contesti. Ribadisco di aver avuto la fortuna e l’orgoglio di essermi formato all’Orientale e di aver continuato il lavoro dei miei maestri. Cerco di farlo nel migliore dei modi e di dare nuovi input, perché il canale dell’archivistica è sempre stato legato a degli aspetti tradizionali, io invece punto molto sulle nuove forme di comunicazione; ad esempio grazie ai miei studenti curiamo molto il nostro sito internet.
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